lunedì 17 novembre 2008

Penelope o la Canzone dell'Inconscio

Disfo piano e rifaccio poi il mio telo,
Nascosta in questa reggia d'una stanza,
Che sola m'è rimasta sotto il cielo,
Che vedo alla distanza,
Dalla finestra cucita di stelle,
Ancor sembrano belle,
Anche se dalle lacrime filtrate,
Le ho pur sempre amate.
Dalle tremanti mani il mio tessuto
Cade sovente a terra,
Ché dal mio Fato altro non ho avuto
Che una costante guerra,
Contro l'assedio che mi fu portato
In casa nell'assenza del mio amato.

Rumoreggiar li sento all'altro piano,
Feriscono le orecchie con le urla,
E se a qualcuno scappa un motto vano,
Non è che trista burla.
Io, donna, abbandonata in uno scrigno,
Come oggetto prezioso,
Lascerò andare il mio canto del cigno,
Se non giunge il mio sposo,
Piuttosto ch'affrontar l'umiliazione
D'esser costretta in un'altra regione,
E sedere come finta regina:
Così di molte seppi,
Graffiate dentro il cuore dalla spina
D'essere messe in ceppi.

Dove ti trovi Odissèo immortale?
Sei tu perito in guerra o ancora vivo?
Intanto io qui ravvivo
Lo schermo di tessuto all'altrui male.
Non pensi mai alla moglie o al caro figlio
Telemaco che fu soggetto ai motti
Di uomini che fecero scompiglio
E tennero complotti?
Potendo aver da te solo una voce
A dirmi che ritorni,
Per sopportare quello che mi nuoce
In così oscuri giorni,
Avrei forza come non l'ho mai avuta:
Tutta me l'han spremuta!

Ma soltanto i cavalli del pensiero
Corron da te nell'immaginazione;
E' solo un'illusione,
Un inganno intessuto e menzognero,
Siccome questa tela,
Ch'intesso quando il sangue mi si gela,
Comunque sia ancor vorrò sperare,
Ricordando Pandora ed il suo vaso,
Giacché non fu per caso,
Che non poté la speme naufragare.

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