martedì 11 novembre 2008

Noi e il prossimo

Difficilmente accettiamo il nostro prossimo, figuriamoci poi l'amarlo, perché ci rende consapevoli, con la sua sola presenza, della nostra miseria, della nostra fragilità: in lui infatti ci specchiamo, e in lui vediamo tutti i nostri difetti, le nostre mancanze, i nostri torti ( resi, per altro, necessari dalla natura demiurgica del mondo in cui viviamo: " Non si può vivere senza mentire. " Insegnava Georges Ivanovitch Gurdjieff, il che dovrebbe rendere sufficientemente l'idea dei pericoli e degli affanni cui siamo soggetti durante il nostro percorso terreno ) e, accumulandosi questi nel corso del tempo, vieppiù che questo passa e ci allontana dall'iniziale candore, maggiormente ci rendono difficile l'avere a che fare con gli altri. Di lì la perdita delle amicizie, l'affievolimento degli amori, etc. Per questo, amare il nostro prossimo richiede uno sforzo di volontà, tanto più maggiore, faticoso, e difficile da compiere quanto più invecchiamo e ci rendiamo deboli così nel corpo, come nello spirito: colui che si renda conto di questa realtà, e ne rimanga, per così dire, imbevuto, subirà una necessaria e inevitabile metamorfosi in una pecora tra i lupi, e dovrà essere innocente come una colomba ed astuto come un serpente, per sopravvivere al mondo ed alle sue miserie, e soprattutto, per portare il suo messaggio di speranza: ciò gli sarà permesso, però, e quasi reso facilissimo dalla sua inevitabile riuscita nell'unificare gli opposti, resa necessaria dal percorso che porta a questa comprensione, e determinata, in ultimo, dal raggiungimento di una discreta consapevolezza, e di una sufficiente conoscenza di sé.

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