Ho seguito con grande fatica il percorso esistenziale tracciato in questo straordinario volume del massimo poeta portoghese: Fernando Pessoa. La lettura infatti è decisamente insopportabile, perché eccessivamente vera ( ma ciò sia detto a titolo elogiativo dell'opera ).
Nel libro, per la redazione del quale l'autore si avvale di uno dei suoi numerosissimi eteronimi, l'aiutocontabile Bernardo Soares, vengono trattate le numerose delusioni e l'amarezza di un uomo che conduce una vita senza grandi prospettive, fine a se stessa, vuota e piena di rammarico, dalla quale egli matura una concezione dell'estetica e della vita che può arrivare ad essere molto aspra, quasi diventando a sua volta un'espressione di un dolore troppo intenso per essere espresso diversamente, che lo porta a lasciar giocare in primo piano il ruolo dell'immaginazione, usata come riempitivo per giornate ripetitive e monotone, stancanti e lontane dal nutrire qualsivoglia aspirazione, od un qualunque desiderio di costruire un nuovo futuro, perché comunque impossibile da realizzare.
Quasi correndo su un filo parallelo a quello della vita del personaggio, si snodano le anonime vicissitudini di una poco importante via di Lisbona, la Rua dos Douradores, laddove il protagonista lavora, mentre la figura che assume maggior spicco tra i personaggi comprimari è sicuramente quella del principale Vasques, un uomo monolitico che conosce benissimo tutte le mansioni da compiere in un ufficio e proprio per questo può permettersi di lasciare che gli altri se ne occupino per non perdere tempo, e che può mostrare anche una certa dose di sentimento e di comprensione, ma solo dopo che gli affari siano stati sbrigati, con tutte le loro eventuali conseguenze.
Ho sempre pensato che la voce viva dell'autore sia più espressiva di centinaia di pagine di commento, lasciate quindi che concluda questo articolo con una citazione, che costituisce un poetico frammento di vita, ma anche un'importante metafora:
" Passavamo, ancora giovani, sotto gli alberi alti e il vago sussurro della foresta. E le radure, improvvisamente apparse nella casualità del sentiero, il chiarore della luna le trasformava in laghi, le cui rive, intricate di rami, erano più notte della notte stessa. La brezza vaga dei grandi boschi faceva sentire il suo respiro tra gli alberi. Parlavamo delle cose impossibili; e le nostre voci erano parte della notte, del chiarore lunare e della foresta. Le sentivamo come se fossero di altri.
La foresta incerta non era esattamente senza sentieri. C'erano delle scorciatoie che, senza volere, conoscevamo e i nostri passi vi ondeggiavano tra le macchie di ombre e il luccichio vago del duro e freddo chiaro di luna. Parlavamo delle cose impossibili e tutto il paesaggio reale era anche esso impossibile. "
Da
Fernando Pessoa
Il libro dell'inquietudine
A cura di Piero Ceccucci, traduzione di Piero Ceccucci e Orietta Abbati
Ed. Newton Compton
mercoledì 5 novembre 2008
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento