sabato 1 novembre 2008

Le legioni di Cesare

L'Opera omnia di Giulio Cesare comprende il Bellum gallicum, il Civile, l'Alexandrinum, l'Africum, e lo Hispaniense; durante la lettura di questi scritti, redatti in un latino piano e privo di fronzoli, molto diverso dal linguaggio involuto, ad es. di un Tito Livio, Cesare ci trasporta, insieme alle sue legioni, attraverso una grande quantità di scenari, dalla Gallia all'Italia, dall'Africa alla Spagna. Non smetteranno mai di stupire l'ingegno bellico e l'acume tattico di questo, ormai leggendario, personaggio, così come la sua attenzione nelle scelte politiche. Egli, in misura straordinariamente maggiore rispetto agli altri generali, anche romani, sa sempre come sfruttare un territorio cogliendone le migliori opportunità, o riportare in salvo i propri soldati anche nelle condizioni più critiche o disperate, ecco un valido esempio, tratto dal Bellum Africum:

Caesar interim, consilio hostium cognito, iubet aciem in longitudinem quam maximam porrigi, et alternis conversis cohortibus, ut una post, altera ante signa tenderet, ita coronam hostium destro sinistroque cornum mediam dividit, et unam partem ab altera exclusam equitibus intrinsecus adortus cum peditatu, telis coniectis, in fugam vertit, neque longius progressus, veritus insidias, se ad suos recipit. Idem altera pars equitum peditumque Caesaris fecit. His rebus gestis ac procul hostibus repulsis convulneratisque, ad sua praesidia sese, sicut erat instructus, recipere coepit.

Insomma, di fronte ad un nuovo stile di combattimento, al quale le sue legioni non erano abituate, Cesare cambia d'impulso nel modo opportuno gli schieramenti e la mobilità delle sue milizie, sinora accerchiate, permettendo così ad esse di respingere cavalleria e fanteria leggera nemica; poi, dimostra la prudenza opportuna in tale situazione evitando di avanzare " veritus insidias ", e iniziando a ritornare ( e quanta circospezione in quel verbo: recipere " coepit " ) al proprio campo, mantenendo però la formazione risultata vincitrice.
Tuttavia, si nota anche l'aridità, e la totale mancanza di sentimenti umani, di un uomo fortemente freddo e calcolatore: al suicidio di Catone l'Uticense, ad es., non sono dedicate che poche righe, prive di qualsivoglia carica emozionale.
Il Bellum Hispaniense, invece, credo sia una delle letture più truci che si possano fare, dimostrando in modo, a mio avviso, inequivocabile come più avanti le guerre vengono portate, più incrudeliscono e imbarbariscono gli animi ( e qui siamo agli ultimi scontri tra le milizie sempre vittoriose di Cesare, e le truppe degli avversari, sulle quali ormai si sta rovesciando la sicurezza della sconfitta, tuttavia, eccessi vengono commessi da entrambe le parti ), come dimostrano queste spaventose immagini:

Cum bene magnam multitudinem telorum igenmque nostris defendentibus iniecissent, nefandum crudelissimumque facinus sunt aggressi in conspectuque nostro hospites, qui in oppido erant, iugulare et de muro praecipites mittere copeperunt, sicuti apud barbaros, quod post hominum memoriam numquam est factum.

Ex hostium armis (...) pro caespite cadavera collocabantur, scuta et pila pro vallo. Insuper occisorum in gladiorum mucronibus capita hominum ordinata ad oppidum conversa.

Qui superati a nostris sunt interfecti hominum milia XXII, praeterquam extra murum qui perierunt.

Le milizie di Gneo Pompeo il giovane sgozzano e precipitano dalle mura le genti che le avevano accolte per essere difese, i soldati di Cesare montano, tra le opere d'assedio, strutture fatte di cadaveri, lance, scudi e di teste umane infilzate su gladii per spaventare il nemico, e, durante il successivo assalto alla città di Cordova, fanno strage di ventiduemila uomini, oltre alle persone che vennero assassinate fuori dalle mura. E qui è il caso di notare, in tale contesto, la terribile freddezza di quel " hominum milia XXII ".
Finirà nel modo più brutale anche l'imperversare di Cesare per ogni continente, ma non le guerre civili, almeno fino all'avvento di Ottaviano, che raccoglierà per se stesso il titolo di Imperator.

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