Ho sempre sofferto di una specie di blocco, non saprei meglio spiegare, è qualcosa di molto vicino al Dèmone di Socrate, con la differenza che, se già lui si vedeva costretto a ricevere secchiate d'acqua sulla testa, cosa dovrei dire io, che vivo nell'epoca moderna?
Questo blocco si manifesta in una certa necessità di fuggire via, a prescindere dal fatto che io mi trovi in un ambiente più o meno amichevole, in una certa quale volontà di autoannullamento, nonché in una costrizione che direi psicologica a lasciarmi crescere la barba, nonché in una notevole sofferenza, che ha qualcosa di patologico, sia fisica che morale, nel momento in cui decido di radermi. E a tale proposito, è curioso che questo non avvenga quando vado dal barbiere, anzi, in quel caso ne esco veramente felice e sentendomi, nei rari casi in cui questo avviene, bello e felice del mio aspetto.
Credo sia per questo che esistono numerose opere d'arte, come " Le nozze di Figaro ", ad es. che hanno come soggetto i barbieri: esiste forse come una percezione inconscia che si tratta di persone che fanno del bene.
Se dovessi stabilire quando si è formato questo blocco dentro di me vorrei poter dire che è avvenuto quando cominciai la scuola media inferiore, ma non ne sono sicuro, potrebbe essere stato molto tempo prima, come molto tempo dopo.
Figuriamoci se uno con caratteristiche psicologiche di questo tipo avrebbe potuto fare l'insegnante, o il pianista, o comunque un qualche mestiere nel quale si sia a stretto contatto con un pubblico più o meno vasto, no, assolutamente, per questo, di non essere stato capace a realizzare i miei obiettivi, io non incolpo nessuno, perché sono io l'unico responsabile di qualunque mia vicenda. Eppure, tutti ci proponiamo uno scopo nella vita, il problema sorge quando ogni possibilità di risoluzione finisce per scomparire, e ci ritroviamo a vivere in una specie di limbo. Questo è più o meno quanto è accaduto a me.
Quando andavo all'Università, percepivo quel palazzo come un immenso labirinto che avrebbe finito per schiacciarmi, chiedevo informazioni agli altri studenti, sentendomi in debito perché li disturbavo, eppure, nonostante cercassi di impormi di essere attento a quello che mi dicevano, poco tempo dopo ogni loro indicazione si era lavata via da sola dalla mia mente. Cercavo disperatamente di raggiungere le classi delle lezioni, a volte piangevo dentro di me, per la mia assoluta inettitudine, perché era facile che il giorno dopo, nonostante avessi a mia disposizione una quantità di manuali e foglietti illustrativi, la classe della lezione era scomparsa dalla mia mente, e dovevo ricominciare daccapo.
Insomma, non mi sentivo capace, ma studiavo tanto per conto mio, cose che non avrebbero avuto a che fare con il mio futuro, ma che mi confortavano, perché mi impedivano di credermi proprio stupido, così, parallelamente alla mia incapacità di muovermi nel mondo, cresceva come un senso di autoesaltazione e, diciamolo, di narcisismo, il cui unico scopo era in realtà di permettermi di affrontare il mio senso di solitudine e di disperazione. Lo sbocco è: - Va bene, non sono stato capace di fare tante cose, ma almeno so questo e questo e quest'altro. -
Il blocco, naturalmente, era sempre al lavoro, e, anche poco prima delle lezioni, non riuscendo a mettere mano ai libri di testo universitari, finivo per portare i miei, e leggere quelli, come per dimenticarmi della situazione, e, in fin dei conti, anche del fatto che stavo davvero esistendo.
Mi iscrissi un paio di volte, diedi quei due o tre esami, ma al primo che non riusciva decidevo invariabilmente di andarmene e lasciare perdere.
Quel blocco è all'opera anche adesso, mentre scrivo, e l'unica ragione che mi permette di scrivere è il fatto che ciò non richiede una presenza fisica di fronte a un uditorio, ha anche una forma somatica, oltre alla necessità di farsi crescere la barba, e che consiste in una sorta di " armatura " che copre prevalentemente la zona toracica, un permanente senso di stanchezza agli occhi, una debolezza fisica, ma soprattutto morale, molto accentuata, e, non ci crederete, anche la sensazione che quello che vi scrivo siano tutte balle, perché, per qualche motivo totalmente irrazionale, potrebbe addirittura farmi comodo, nonché un vago senso di indifferenza per tutto quello che faccio e tutto quello che vivo.
Anche quando seguivo lezioni di musica, il blocco si manifestava in una continua raffica di osservazioni per lo più inutili, che avevano, forse, l'esclusivo scopo di manifestare un'intelligenza che ero realmente convinto di non avere, ma anche di disturbare il più possibile il proseguimento delle stesse, ma la vera domanda che volevo porre al maestro era una sola: - Perché sono qui? -
Potete immaginare l'effetto di questa situazione sulle mie attività lavorative. In effetti, mi sto rendendo conto che indosso molte maschere, che in realtà ogni mia attività, da quelle scolastiche a quelle musicali fino a quelle lavorative, tutta la mia vita, insomma, è stata segnata da questo blocco.
Sono stato anche in cura presso alcuni psicanalisti, risultato: percepivo il loro intervento come una violenza, più o meno grave, a seconda dei casi e del carisma del medico, nei miei confronti, e, presto o tardi, abbandonavo le sedute. Il primo tentativo lo affrontai all'età di sedici anni, proprio mentre leggevo Salinger, e da allora ho sempre avuto l'impressione che la mia intera esistenza fosse una sorta di prosecuzione ideale de " Il giovane Holden ".
C'è qualcosa d'altro che vorrei scrivere, ma il blocco è attualmente in azione e me lo impedisce, mi dedicherò ad altro, attendendo che mi torni in mente, ah, ecco, ora l'ho ricordato, ma comunque farò una breve pausa prima di continuare.
( 7 minuti dopo ).
Non sono mai stato capace di sviluppare un'amicizia nel senso comune del termine: il mio assoluto desiderio di nascondermi fa sì che, ancora oggi, io interrompa le persone mentre mi parlano, magari adoperando un tono di voce più forte del loro, mentre, in condizioni di vicinanza fisica particolarmente pressante, mentre gli altri tentano di guardarmi in faccia, io faccio del mio meglio per mostrare loro la nuca, e così via. Potete immaginare, in seguito a ciò, quale possa essere il mio rapporto con l'amore.
Poi scoprii Dungeons & Dragons e i Giochi di Ruolo, per me fu una rivelazione: ammettiamolo, ho sempre amato raccontare storie, pormi al centro dell'attenzione ( questo desiderio, nelle età più giovani, unito alla mia assoluta incapacità di socializzare, fece sì che io mi adoperassi in attività assolutamente stupide, come copiare le pubblicità televisive, imitare i comici nei momenti meno opportuni, etc. che mi causarono più volte il biasimo dei miei coetanei, e ciò, unito alle mie assolute incapacità sportive, determinò una grande solitudine, che finii per apprezzare, anche quando ero proprio un ragazzino ), e avere degli amici. Fu la mia grande occasione, perchè in questi giochi, l'Arbitro deve nascondere i fogli delle avventure dietro uno schermo, e, per me, era l'opportunità per stare con gli altri nascondendo il mio volto. Nelle fortunatamente rare occasioni in cui arbitravano gli altri, però, fui l'apice della scorrettezza: volevo infatti tornare ad arbitrare io, per avere di nuovo l'opportunità di nascondermi, diversamente, avrei dovuto, sul lungo periodo, abbandonare gli amici ( e questo capitò puntualmente in quelle occasioni in cui non riuscii ad ottenere il posto di arbitro ).
Per farla breve, il mio comportamento, che può sembrare motivato da arroganza, alterigia, mancanza di empatia per il proprio prossimo, e diciamolo pure, desiderio di sopraffazione, in realtà è motivato esclusivamente da una potente volontà di autoannullamento, e dal desiderio di tornare, una volta per tutte, a nascondermi, per non essere più notato da nessuno.
lunedì 10 novembre 2008
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